Le Esposizioni del 1911. Roma, Torino, Firenze (Treves)

ficiale dell'Esposizione - si rassomigliano tutte. Nell'arte non v'è, e non vi può essere alcun progresso collettivo: il genio individuale è tutto. E il genio individuale ha toccato il sommo dell'arte tremila anni fa, e non può rivelarsi ogni anno all'Esposizione di Venezia o nei diversi salons parigini,,. Ora, senza soffermarci sulla giustificabile sovraeccitazione di orgoglio indu·: striale che vibra in questa frase, è certo che, uscendo dalle sale della Mostra veneziana non ci si precipita affatto col pensiero ad architettarne un'altra maggiore, mentre visitando una esposizione del lavoro vi _gorgoglia dentro coll'ammirazione l'appassionata richiesta, il bisogno di sapere se si possa giungere più lontano. Sono due stati _d'animo genuinamente diversi: l'esposizione artistica vi assorbe in una quietudine contemplativa: l'esposizione industriale vi dà il contagio dell'opera alacre ed incessante: l'una statica, l'altra dinamica. L'esposizione industriale è un eccitante: e non solo per la com- ,parazione nazionale, perchè suggerisce di confrontare ed impone di emulare, ma anche perchè, fasciando ed occultando gli ostacoli in mezzo ai quali si svolge ogni iniziativa nostra, illude e lancia il volere umano · più· gagliardo ad affrontarli e ad abbatterli. Ecco infatti un'idea che mulina nel mio cervello e che vo' inseguendo: l'ottimismo delle esposizioni·. La virtù parenetica, la forza alcoolica dell'esposizione proviene in gran parte da questo suo offrirci i risultati della tenacia industre, separandoli dalle fastidiose circostanze in che li si raggiungono. Eccovi immense stazioni ferroviarie, silenti come biblioteche, senza fumo e senza disordine, dove le rotaie corrono e si smorzano fra i tappeti; eccovi biblioteche senza polvere; eccovi officine dove l'operaio lavora cogli abiti festivi e colla distrazione del. pubblico che lo osserva e che lo arresta; ecco le cornucopie delle terre feraci senza il giuoco della speculazione che rialza il costo dei viveri ed allontana, ha detto una volta il Bertacchi, le carche navi dall'aspettante lido; ecco i prodotti delle varie nazioni avvicinati e mescolati per un semestre davanti ai nostri occhi senza le barriere doganali; ecco le magni, ficenze dei lavori pubblici senza i ritardi delle burocrazie e le avidità degli imprenditori: ecco una miriade di oggetti che vi attirano per la loro leggiadria senza respingervi per il loro prezzo proibitivo: ecco· insomma tutta quanta la vita civile depurata, fatta più semplice e più ricca insieme, ecco il lavoro umano isolato e svincolato dalle asprezze e dalle volgarità della lotta economica. E dove non si possa, come col mobiglio provocare nello spirito una visione compinta - l'arredamento d'una stanza ha nelle mostre industriali il primato dell'efficacia espo-" sitiva, esso par chiud~rvi, proteggervi, avvolgervi, e per poco che vi restiate può farvi sorgere dalla fantasia la perfetta immagine di una vita che vi è estranea - dove la macchina debba restar muta, dove gli utensili non possar10 dare che un'idea frammentaria, dove la pienezza della ricostruzione sia contesa, ecco che le solenni, pesanti, massiccie costruzioni dell'industria si mansuefanno per l'istruzione dei visitatori, · si riducono a proporzioni modeste, dimettono tutta la propria maestà e si fanno minute, agevoli, accessibili, confidenziali come un giuocattolo. Un'esposizione industriale è, per un buon quarto, un'esposizione di giuocattoli: è una mastodontica accolta di pupazzi. Ci ' sono pupi e cittadine per i pupi dovunque, senza eccezione di paesi e di riparti. Se fossero tutti riuniti direste che vi è nell'esposizione un regno dei piccoli, ma distribuiti come sono doL E E' S P O S I Z I O N I D E L r 9 r r vunque 'vi fanno conchiudere che diventiamo piccoli tutti per la necessità di comprendere, di riassumere, di rendere sincrone e contigue opere che si compiono lontane nello spazio e nel tempo. Ci sono pupazzi fra i severi magiari, pupazzi alla moda quei grandi orsacchiotti di velluto che sono la delizia dei bambini ricchi, se non che hanno nel Palazzo dell' Ungheria la missione . di rappresentarvi le fasi delle caccie drammatiche. Ci sono pupazzi in Germania, dove trovate fra le altre una marionettina scura scura, vero tipo di dottor Balanzone, incaricata di rappresentarvi l'erudito in cerca di volumi fra le meraviglie dei suoi scaffali. Ci sono pupi e giuochi in Francia et! in Italia; pieni di omini docili e microscopici i cantieri di .Sestri, di Sanpierdarena, di Livorno; carrettine per giuocar colla sabbia quelle che espone, per saggio dei propri lavori, l'idroelettrica di Ivrea. E la riproduzione delle proprie officine fatte da una grande cartiera di Francia e.sposta in un negozio del centro, in una metropoli, nella settimana di Natale, farebbe sognare mille testoline: è certo il più ricco giuoco della ferrovia che sia mai offerto allo svago dei piccini: ci sono casette, caselli, villini, furgoni, tunnel, stazioni, passerelle, e tutto ciò colla meravigliosa aggiunta della Senna e dei vaporetti che la solcano salendo e discendendo. Gli istituti più serI diventano, in questi loro modelli plastici, ridenti e scherzosi; lo diventano le scene della Croce rossa in montagna ed in pianura, coi muli e coi carriaggi, lo diventano i progetti delle case popolari, le caserme, le cavallerizze, gli ospedali, persino i sanatori lo diventano con quelle loro selve di alberelli alti tre dita e con quella loro ghiaia che fa pensare alle pastiglie di menta. Ci sono poi i giuochi espliciti, senza denominazioni pompose: c' è, fra l'odor di catrame, il giuoco di guerra navale nella Mostra della Marina, il giuoco che i bambini di Milano o di Torino non fanno, ma che è il primo ed il prediletto nelle città litoranee, nelle case dove giungon incessanti il saluto ed il rombo del mare. E una fabbrica tedesca di birra, per rappresentare il proprio movimento di spedizione, ha affollato intorno ad una casetta, che par quella della donnina barometro, una quantità dei carri a due cavalli che Norimberga intaglia pazientissima in un bruscolo di legno; e, per la mitilicoltura del mare piccolo di Taranto, c'è, quasi a contrasto col nome arcigno, un pezzo di specchio a rappresentare l'acqua corrente come nei nostri presepI lombardi, ci sono le barchette che si avventurano nelle vasche dei giardini pubblici; e il Club Alpino, in fine, per rappresentare la batteria di cucina dei suoi ultimi rifugi, ha inchiodato sopra una cassetta d_i legno tutte quante le padelline e le pentoline della bambola. Anche queste apparenze di giuoco contribuiscono a farvi sentire che un'esposizione si deve ripetere, che la bella finzione si deve rinnovare più grande domani. Chè, ·se non lo pensaste per questo, ve ne insinuerebbero il desiderio i mille segni della cosa moritura. Le guide dell'esposizione vi sottolineano gli edifici sui quali a novembre " non si alzerà il piccone demolitore ,, e·d è come se lo vedeste incombere minace su tutti gli altri, se sentiste passar per le · arterie di questo enorme organismo i brividi ed i sussulti della prossima fine. Ma anche senza leggere, ma anche senza riflettere o volerlo si avverte il contrasto fra la mole enorme della costruzione fantasiosa e la brevità della sua vita. lo ho cercato una volta, mentre sul fiume e nell'aria, colle imbarcazioni e colle navicelle aeree, sul ponte monumentale, era un trionfo di folla, di suoni, di luce, ho cercato a fior d'acqua in un sentierucolo incassato fra il Po ed il piede degli edifici, le fondamenta della città effimera. Pare che la morte la sorprenda già lì, come dagli arti inferiori invade un corpo umano, pare di leggerne il destino dai graticci che occhieggiano di sotto l'intonaco forato, dai colori che cadono e dovrebbero essere la finzione della pietra. Oppure bisogna uscire da qualche padiglione verso l'assito che recinge- tutta quanta l'esposizione e perdersi fra i ciuffi dell'erbe negli andirivieni di quei passaggi di servizio che s'allargano o rientrano, tortuosi o lunghi a seconda dell'architettura, delle gallerie e delle rotonde. Vivendo là, mentre un assito vi separa dalla città permanente ed una framezza più ancora leggiera vi isola dal convegno festoso, vi pare di passare accanto ad un infinito accampamento di nomadi, alle tende innumeri di un popolo che non trovi la propria sede ed il suo riposo. E così è veramente. In un foglio d'architettura cadutomi fra le mani all'esposizione era posto il quesito se il cemento armato sia il colpevole del barocco dello stile moderno e si esprimeva la fede che le antiche forme possano rinascere coi nuovi materiali. Perchè, si domandava quel mio sconosciuto amico architetto e compagno di peregrinazione e di riflessione, perchè " la rigida ossatura di ferro che consente ampii spazii e lunghezza di piani non potrebbe dar linee severe ,, ? Certo, potrebbe darle benissimo; non è la materia, ma è l'idea che non le consente. Noi non possiamo ripetere le linee severe, perchè noi non vogliamo ancora il riposo, perchè noi non. vogliamo durare. Noi cerchiamo ed andiamo. E la nostra condanna ed è la nostra gloria. Le nostre città hanno tutte lo stile delle esposizioni: anch'esse non vogliono restare immobili, anch'esse sono percosse come da un flagello spirituale ed invisibile, da questa mania ambulatoria, dal desiderio e dal presentimento del meglio. E la nostra epoca è quella delle esposizioni, l'epoca che non crea per conservare, ma costruisce per distruggere, che disperde la propria ricchezza ed il proprio ingegno in uno sforzo fugace, per una maraviglia di pochi giorni, per una festa sola e vi assiste già pensando a quale altra più lussuosa sarà convitata domani. Così è: viviamo il tempo nostro: lasciamo i recessi solitari, i viottoli clandestini della peripatetica dissertatrice, e ritorniamo nel pieno del sogno. Musiche dovunque, musiche di tutti i paesi, musiche di tutte le scuole, musiche che escono sommesse da un boschetto, che risuonano e salgono con fragore fra le alte pareti e le schiere di statue, che si perdono e si allontanano fra le solide mura dei fogliami secolari. Fate che la musica continui, che, cessata l'una, un'altra da un'altra parte vi afferri in suo potere e girate tutto avvolti e difesi dalla compagnia armoniosa. Oltre il fiume regale le cupole hanno un aureo scintillìo bizantino; la diversità delle fogge, le dissonanze delle parlate, l'incrocio delle diverse uniformi vi fanno pensare ad un emporio del mondo od al fasto di una città dominatrice; e la marea umana va, va verso il ponte delle vittorie, ammirando nella gloria del sole, a ridosso della collina verde disseminata di ville rosse, le gagliarde allegorie della Patria. L'artefice e l'uomo antico, una volta che avessero espresso da sè codesta illusione superba, avrebbero voluto serbarla ai nipoti: noi ce ne inebbriamo e, nella follìa del convito, spezziamo la tazza dèlla nostra ebbrezza. p AOLO ARCARI. •

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