Le Esposizioni del 1911. Roma, Torino, Firenze (Treves)

rr8 LE ESPOS IZ IONi DÈL 1911 Il 2 r apr ile, nel Natale di Roma ha avuto lu ogo in Campidoglio nell'Aula Massima dei conservator i, la cerimoni a solenne per la lettura a l popo lo romano del carme r iuscito v ittori oso nel conco rso bandito da l Municipio per un componimento in l ingua la tina , inteso a celebrare i l Nat a le di Roma. L'a ul a era molto af fo llata di cittadi n i di t utte le classi. S ul palco d'onore stavano il sindaco Nathan, con alla destra l' assessore Tonelli , il p rof. Ramorino di Firenze, il prof. Gi ri di Roma e l'assess ore Can ti, e a sinis tra ]'on. Guido Baccelli , i l prof. A lbini di Bologna , il p r of. T rinch ieri e l'assessore Ballor i . Si è a lzato prima a pa rlare i l r ettore del!' Università pro f. Tonelli, il quale, fra il silenzio degl i astanti, con un breve discorso, ha commemor ato le origini di Roma. " La leggenda - egli ha detto - è t ant o bella e poetica che ci p iace considerarla veri tà perchè solo n el bel paese di apri le, in una primavera di tempo e di t empi può essere sorta la Roma rinnovellantesi sempre e sempre flor ida per muta r di eventi . ,, L' oratore ha q u indi ringraziato · a nome del Comune i commissar i elet ti a giud icar e, i qual i hanno con zelo e dott r ina adempiuto al loro compito, scegliendo come meritevole di pr emio il carme che sarà let to e che è di autore ignoto. Dopo le parole del p rof. Tonell i, accolte da viv iss imi applausi, il prof. Ramorino ha letto quindi la b reve r elazione della Commi ssione, presie duta dall' on , Baccell i, dalla quale si ri leva che dei cento concorrenti a li ' inci rca ammessi , solo poch i furono degni di considerazione e pochissimi di premio . ll miglior componimento fu gi ud icato, come è noto, quello firmat o co l motto "Numine Di vae ,, di cui Giovanni Pascoli , il giorno dopo, s i con fessò autore . Dopo la r elazione, il prof. Albini ha letto i l carme che è stato accolto da applausi ca lorosi e unan imi . Il p ro f. Albin:i ·ha poi riserbato per l ' uditor io una sorpresa , leggendo la traduzione i n volgar e del ca rme, così come è qui ri prodotta : INNO Roma Amor - dato è alfine proferir l'arcana parola. Chi m~i primo per te prodigava il sang~e e la vita? Quel tra i veli ed i bagliori dei secoli molto compianto presso al T ebro, Pallante. T r:icolore il corbezzolo, i bianchi fiori, le rosse bacche, le fronde sue verdi gli porse: fatto fu di quest'albero il feretro del giovinetto. Mille l'accompagnarono guerrieri tornantesi a casa. Gli era padre il re Fauno, che povero in povera reggia, abitava le cime del Palatino boscose. E tu non eri ancor a ! Potevasi ancora vedere i parso di muscosi ruderi il Capitolino colle e di rotte mura pur, biancheggiare tra i dumi il Gianicolo , Due città ruinate dal tempo giacquero ivi. Poi gli anni ne cancellarono Fauno povero e l' umil casa dal .tetto di paglia, a 1'aurora cinguettante di passeri. Sul Palatino gli armenti pascolano. E qualora paresse al pastore bramosi lupi udire, tranquillo chiudeva nel!'antro le greggi. Spesse volte a 1a notte fiutò quel rifugio la: lupa. Al fin, mentre schiudeva primavera le gemme, e il Tebro più ricche volgeva l' acque con suo sonoro sussurro, ecco che d'ogni parte per campi rifulsero e colli, 1a notte sacra, i fuochi; fu il Tevere un correr di fiamme. Avean messo i pastori l'incendio a lor case silvestri, chè già più non volevano altro riparo che d'ombre. Col giorno un aratore girando da piè il Palatino alte frangea col vomero le zolle e segnava un quadrato. Gli portavano il giogo di pari una vacca ed un toro: e poggiati alle verghe, villosi di pelli caprine, al 1a voro assistevano i cittadini futuri . Ma poi che avevano in core le verdi rive de' paschi e ognor la terra sotto le antiche stelle novella, irridean la semente gittata a perire _nascosta. Torvi sguardi all'intorno, possente anelare di petti. Tra quelli era il fratello del primo, a la poppa ferina nudrito insiem, pastore dal viso crucciato al colono. Muti continuavano i bu(?i via tra il popolo muto rapidi a ll'incalzare di quel tremendo bifolco. Parve tra il sole su l'aie vastissime ferma la visì'on d'un'aquila. e a lungo ne l'opra _s'affisse, poi senza volger gli occhi s'immerse nell'alto del cielo. Flora - il cielo ti chiama col nome sa~ro di Flora tale da l'aspro solco · sorgevi su rugiadosa . Era allor primavera; tu primaverile fioristi. Tepide il creatore soffio ·spiravano l'aure: e tu spargesti il seme per regioni infinite. Più lucido che spada l' acciar dell'aratro indefesso sua con le sue ferite faceva la solida terra. Ma il Tevere da presso col torbido flutto radeva le sponde e nunzi"and~ più- alte cose chiamava A le genti al mare azzurro. - Tagliate anche il Tebro col ferrof ROMA. Arate il pian marino! Sia vomere al solco la prora! Amore allor de l'onde, sì come pastor vagabonde, prese i memori cuori e di far lor pascolo il mondo. Ma quando rosseggiarono i coHi del primo tramonto, e fumante il toro con la campagna pascea l' erba de 1a solinga città, di subito grido tuonan · le valli e il greto. Si fa battaglia ne' solchi. Passano le nuvole del sangue terreno riflesse. Tu così cominciasti dettare la legge di pace, o Flora, dolorosa, chè .solo i sanguigni colori ne' fiori ami e sul volto di vereconda fanciulla. Tu miele e olio e vino, non sangue, Flora, domandi. Sacro e sicuro agli esuli apparecchiasti l'asilo! Agli universi popoli accolto in sè 1'universo! Ai numi, da ['imperio cacciati e da l'are, il sacrario! Oh salve casa tempio foro legge agli umani comune! Che mai seg~Ìa, se tu rovinavi? Se il barbaro un giorno straziò, s'abbattè, si cinse ghirlande di fiamma . -più •pura da l'incendio, per ferro più alta risorgi. Poi di stento il nemico finirti e di lento languore teco propose. Tutte da tutta la terra per cenno vanno le genti via lasciando solinghe le mura. Con sè sola deserta (fu questo il consiglio) si sfaccia l'aurea urbe, e in se stessa per piccolo crollo, ricada. Dentro la sacra cerchia così si fu fatto silenzi'o. e l'immenso pomerio fingea un immenso sepolcro. In rumorosa schiera talora tornandosi i corvi quel d'uomini e di cose rompevano arcano letargo, e cauta per le tenebre la volpe s'udìa guaire: a cercar tra i palagi de' Cesari i noti covil-i. Non saliva respiro su da l'urbe più, che giaceva abbandonata per i sette colli le membra giganti. Ma il zappa tor che ardiva notturno tentar de la vanga il Palatino, e d'aurea preda servir lo straniero, sbigottì, poichè vide sotterra una luce, e stupito ne ·l'aperto sepolcro rimirò la persona d'un grande guerriero con a sommo del petto una grande ferita. Quei fu il giovin Pallante, sott'esso una viva lucerna, de la città primizia. Che ragione ha teco la morte? Dopo le molte stragi, dopo gli oblii diuturni, e le jatture gra vi tra un vasto proromper d'incendi, tu sopra de le ceneri e de le tremate ruine sublime risorgendo di tutta la_morte trionfi : ai popoli, consorti per te del diritto, ti mostri meravigliosa già sul fiore di tua giovinezza ben simile a Pallante de l'armi fulgenti protettà e cinta de la spada: con la destra levi ne l'alto, .irradiando il · mondo, l' eterna lampada, o Roma• . (Dal latino di GIOVANNI PASCOLI versione del prof. ALBINI.)

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